Che vero e falso possano darsi al contempo? Nel mondo delle apparenze questo sembra possibile; “non sarà logico ma è certamente molto umano”. È il gioco delle illusioni, dove specchi e immagini, maschere e sogni scivolano gli uni negli altri confondendosi tra loro.
Inaugurazione della mostra
sabato 14.09.2024
ore 18.00
presso lo Spazio ArtOk
Borgo Cividale 23/A Palmanova UD
Telefono 0432 990517
Orari di apertura
da lunedì a venerdì 9.00-12.30 / 14.30-18.00
sabato e domenca su appuntamento
La mostra rimarrà visitabile (ingresso gratuito) fino al giorno 13 ottobre 2024.
ESPONGONO:
Antonio Ros
Daniele Indrigo
Enzo Tedeschi
Fabio Giacuzzo
Fabio Rinaldi
Francesco Comello
Franco Martelli Rossi
Giacomo Frullani
Lorella Klun
Luca Laureati
Mario Sillani Djerrahian
Remo Cavedale
Roberto Giovetti
Roberto Kusterle
Roberto Pastrovicchio
Stefano Tubaro
Ulderica Da Pozzo
Walter Criscuoli
LA MOSTRA
Luca Laureati
L’autore ha interpretato il tema “Vero e Falso” attraverso un’analisi di sé. Dopo aver impostato la massima apertura del diaframma del proprio apparecchio, ha fissato il fuoco sul proprio occhio, lasciando, intorno a quel punto, aumentare progressivamente lo sfocato, l’indefinito fotografico. I due autoritratti, scelti tra una serie, sono idealmente posti in un campo esistenziale dove Laureati, guardando la propria maschera, cerca il vero e falso, la luce e l’ombra di sé; la sua coscienza gli dice che sotto l’epidermide c’è dell’altro, ma il suo sguardo fotografico (come guardandosi in uno specchio) non sa e non può rivelarlo.
Enzo Tedeschi
La fotografia di Enzo Tedeschi pare una grafica orientale di inizio ma, invece, è lo scatto di un piccolo set fotografico, un teatrino composto da un piano, un fondale (costituito dalla grande stampa di un cielo in bianco nero), e dal ritaglio di un cerchio arancione. È tutto finto, compresa lo stile nipponico. Alcune elaborazioni digitali sono servite per completare l’immagine di questo inganno a cui bisogna riconoscere l’inganno della poesia e il gusto raffinato.
Walter Criscuoli
Alcune fotografie, scattate nell’arco di decenni ad un’unica figura, sono state raccolte e decostruite, scomposte in rette, archi e anelli. I vari segmenti sono stati ritessuti dall’autore in una nuova risultante: un ultraritratto. Vero o falso? Come ogni ritratto si tratta di un falso, ma la sua sintesi, se riesce, simbolicamente è capace di rappresentare il senso più autentico di una vita intera
Remo Cavedale
Contro uno sfondo vuoto un pianista inesistente va dissonando; facile che si tratti di un fantasma che, insieme alla tastiera, muove quel sottile fiato d’aria sulla fiamma. Va cercando l’eco di una nenia? Ammesso che sia così, dev’essere apparso e svanito nell’arco di poche note, ma sufficienti al fotografo per cogliere che vero e falso talvolta alternano i loro volti come due facce di una sola medaglia, in un solo miraggio.
Francesco Comello
Vi sono alcune fotografie che hanno una loro singolare forza, che sembrano fotogrammi di un film o parti di un sogno: questa è una di quelle fotografie, un po’ alla Dottor Živago (До́ктор Жива́го), un’immagine asciutta dove un binario ferroviario e una figura raccontano di una partenza, un distacco, un esilio o, forse, un addio. É su questa incerta marea che il pensiero si lascia portare, ondeggiando e non sapendo scegliere tra il dato reale e quello immaginato.
Daniele Indrigo
Ci troviamo in un celebre sito storico, nella settecentesca villa Carlotta costruita sulle rive del lago di Como. Nel suo antico lavatoio delle figure proiettate evocano i gesti delle lavandaie di un tempo. Si tratta di una installazione con delle proiezioni, ovvero di una finzione che nel suo complesso, come un pezzo di teatro, ci lascia immaginare e comprendere la vita, il lavoro e la fatica di pochi secoli fa. Insomma: si tratta di un falso grazie al quale possiamo figurarci come siano andate davvero le cose nel corso del tempo.
Lorella Klun
Il pezzo di Lorella Klun è un omaggio all’opera di Magritte. Il titolo, “Ceci n’est pas…”, lascia allo spettatore il compito di completarlo.
L’idea che un’immagine possa inconsapevolmente sostituirsi al reale (il falso al vero), viene ripresa dal celebre pittore belga quando dipinge “Ceci n’est pas une pipe”, rivelandoci così che, se dipinta, una pipa non è più una pipa ma un suo disegno. Klun ricalca il pensiero del pittore belga prendendo un personaggio, facendogli indossare una bombetta e mettendogli in mano due mele verdi. Ne esce così una piccola messa in scena, l’inizio di un piccolo racconto che è illusione, fatto che dimostra, così come diceva Magritte, che tutto nasce e “tutto ha luogo nel nostro universo mentale”.
Franco Martelli Rossi
Sulla superficie specchiata di un vetro, l’immagine riflessa pare quella di un mondo autentico, ma così non è: la visione illusoria è quella di un piano che, diabolicamente, sembra avere perfino la profondità del mondo, ma rovesciata. Il fotografo, nella Loggia del Lionello di Udine, ha ripreso da due punti di vista un affresco protetto da vetri e ha poi stratificato i due scatti per ottenere un’unica immagine. Del soggetto, degli affreschi, del reale non rimane nulla. Rimangono piuttosto i riflessi composti in una indecifrabile crittografia.
Giacomo Frullani
Due mani sostengono un fragile mazzo di papaveri mentre una corda le lega, così come un laccio lega metaforicamente anche noi a quelle trappole del pensiero che talvolta ci confondono e ci ingannano, impedendoci di cogliere il senso delle cose per ciò che sono. Accade così che i papaveri (che sono solo papaveri), in occidente spesso simboleggino la morte e l’oblio, mentre in oriente si trasformino in fiori benauguranti, se non perfino amuleti capaci di donare vita e fertilità. É il gioco dei simboli che, come le bandiere, le croci, le svastiche o certe parole, sono capaci di orientare il significato che diamo alle cose. La cupezza e la centralità di questa composizione, contribuiscono a traslare l’opera in una dimensione simbolica, dove distinguere il vero dal falso, ammesso che abbia un senso, diventa difficile.
Mario Sillani Djerrahian
La bolla del pesco è una malattia fungina causata dall’ascomicete Taphrina deformans; il sintomo tipico è quello delle foglie che, deformandosi, aumentano di spessore diventando ipertrofiche e bollose, trasformandosi talvolta in lanugine vegetale. Mario Sillani Djerrahian ci propone una visione macrofotografica di questo fenomeno. Vero? Falso? Lo stabilirà lo spettatore al quale, tuttavia, rimarrà probabilmente qualche perplessità. Mario Sillani Djerrahian rimane idealmente nel campo della sua ricerca sul fotografico e sul significato, spesso ambiguo, delle fotografie.
Ulderica Da Pozzo
Una casa volatilizzata, un soffitto sfondato, una vecchia parete e una porta. É notte e nevica. Non è difficile immaginare qualche presenza che ancora aleggia in questo spazio vivificato dalla neve e dalle mani stratificate di colore alle pareti. Vecchie canzoni, vecchi silenzi insieme a sguardi e miserie sono ancora nell’aria. Il lampo del flash congela (è il caso di dirlo) i fiocchi cullati dall’aria. É una fotografia, un autentico scorcio di mondo ma, si sa, tante volte l’immaginazione ha una forza che non t’aspetti, che senza accorgertene sei già lì che sogni.
Antonio Ros
L’opera, imparentata con un certo mondo surrealista e dadaista, gioca con l’ambiguità e il doppio senso. Il punto di vista e il corpo potrebbero ricordare un celebre nudo di Weston, ma, guardando il vecchio imbuto di alluminio sulla stampa analogica, potrebbe trattarsi anche di uno scatto di Man Ray. Vero? Falso? E la modella è tale? Ovvero è femmina o, quell’imbuto posato in quel modo, nasconde una sorpresa, come parrebbe? Ros scombina le carte lasciando sospesa la soluzione del gioco.
Roberto Pastrovicchio
Lo still life è stato allestito e fotografato in studio da Roberto Pastrovicchio, in una collaborazione con Sara Bertolin. Si tratta dunque della fedele riproduzione ottica di una composizione autentica, reale ma, sarà il gioco dei due specchi, o la trasparenza del fondo azzurro, o quel segmento giallo, filo d’olio fluido e perfetto, fatto sta che l’immagine ha una sua magia, una sua perfezione che pare disegnata. La fotografia pare scattata in uno spazio tempo irreale, e invece è uno still life autentico, fissato con un’impronta di luce sul sensore.
Fabio Rinaldi
Un oggetto reale, un francobollo, sta incollato sopra una sua fotografia notevolmente ingrandita. L’ingrandimento è un falso e tuttavia ci mostra, con macrofotografica chiarezza, la materia, la vera sostanza di cui è fatto l’originale. La natura cartacea della fibra, la dentellatura slabbrata, l’inchiostratura talvolta sfocata, si mostrano meglio nell’ingrandimento piuttosto che nell’originale, sicché pare che il falso ci mostri la natura nascosta del vero.
Fabio Giacuzzo
Fiori ovunque, ricamati o decorati e, raccolto nel vaso, un mazzo di corolle.
Riuscite a distinguere quelle vere da quelle sintetiche? Nella prima fotografia non pare esserci differenza tra le une e le altre, ma nella seconda, scattata a una settimana di distanza, alcuni fiori sono riversi sui loro steli. L’inganno è stato rivelato.
“Veritas filia temporis” ci dice il titolo che, nelle due stampe analogiche, pare mettere in evidenza una volta di più che l’immagine (o forse più propriamente l’aspetto delle cose) può ingannarci, e che talvolta il tempo è capace di rivelare la vera natura del mondo.
Roberto Kusterle
Un serpentello nero, con la sua debole spira, tiene appena unite le mani di una figura e pare quasi muoversi verso il volto della donna per accarezzarlo. Tutto è vero e tutto è falso al contempo. Il rettile e la figura femminile sono uniti nell’immagine, ma nella realtà non lo erano. L’insieme sembra svanire riassorbito dalla superficie di una carta antica (e dal tempo). Quasi neoclassica, la composizione rimane in una dimensione onirica, simbolica, dove vero e falso non sono.
Stefano Tubaro
Un vecchio limone essiccato, a cui un pittore aveva ridato colore una sessantina d’anni fa (per usarlo come modello per delle nature morte), sta sospeso sopra uno specchio. Il frutto, all’epoca, fingeva una freschezza citrina, ma oggi, a distanza di tanti anni, la sua maschera è screpolata; e non pare nemmeno combaciare con l’altra sua faccia riflessa, come se la specchio rivelasse, più che il lato nascosto del limone, una sua seconda natura. È il gioco delle illusioni, dei riflessi, delle luci, della pittura e della fotografia. Il pittore, di cui vediamo anche la tavolozza originale sulla quale è impaginata la foto, è Renzo Tubaro, padre del fotografo.
Roberto Giovetti
Il titolo del pezzo è “Mister Magoo” e ci riporta al celebre personaggio animato degli anni Cinquanta che, con la sua insuperabile e proverbiale miopia, scambiava nella propria mente le cose prendendo lucciole per lanterne. Giovetti ha incontrato un personaggio simile, una sorta di Marcovaldo che si sforza di conversare con un manichino, che non è nient’altro che un campionario di articoli subacquei mascherati da sommozzatore. Nella sequenza entrano in gioco due aspetti che sono necessari affinché vero e falso convivano: la cecità, l’ingenuità e l’illusione del primo personaggio (a cui pare vero ciò che non lo è) e la premeditata, ingannevole mimetizzazione del manichino che si sostituisce al vero (sapendo d’essere “un’autentica bugia”).